Nella cosmologia antica l’universo era considerato eterno, non creato, indistruttibile, capace di rigenerarsi dopo ogni periodica distruzione. Il primo sospetto che anche il mondo sopralunare degli “splendidissimi astri” potesse essere affetto da mortalità lo ebbe l’astronomo Ipparco di Nicea attorno al 134 a.C., quando scoprì una nuova stella che gli sembrò non essere stata presente prima. Fu il cristianesimo a decretare la fine dell’eternità del mondo, che non solo ha avuto un inizio, ma avrà una durata breve, e finirà catastroficamente. La storia umana procederà verso il peggio (l’idea moderna di progresso è stata un rovesciamento di questa tesi). Per secoli si imporrà un’ermeneutica dei segni prognostici che annunciano il declino e la distruzione, travalicando l’ambito religioso per investire la vita civile e politica: guerre, carestie, corruzione e, recentemente, armi nucleari o epidemie incontrollabili.