Il titolo rimanda alla reazione di Jacques Lacan ai ben noti graffiti anti-strutturalisti sui muri della Parigi del ’68: le strutture non scendono in strada. Cioè: le grandi manifestazioni del ’68 di studenti e operai non si possono spiegare nei termini dello strutturalismo, ragion per cui alcuni storici intendono il 1968 addirittura come la data che separa lo strutturalismo dal post-strutturalismo, che era – così va avanti la storia – tanto più dinamico e incline a interventi politici attivi. La risposta di Lacan è stata che proprio questo è ciò che è accaduto nel 1968: le strutture sono scese nelle strade, vale a dire: gli eventi visibilmente esplosivi non erano altro che il risultato di uno squilibrio strutturale – nei termini di Lacan, del passaggio dal discorso del Padrone al discorso dell’Università . Occorre qui sollevare alcune questioni. Lacan aveva ragione? Il passaggio dal Padrone all’Università è davvero tutto ciò che è accaduto con gli eventi del ’68? L’entusiasmo ubriaco di libertà non era altro che un mezzo per rimpiazzare una forma di dominio con un’altra (ricordiamoci la sfida di Lacan agli studenti: Come rivoluzionari, voi siete degli isterici che chiedono un nuovo padrone. E lo avrete)? Seppur Lacan avesse avuto ragione, il ’68 è stato un evento singolo? O forse un evento diviso e ambiguo in cui differenti tendenze politiche hanno lottato per l’egemonia? Questo spiegherebbe il fatto che, mentre il ’68 è stato gloriosamente appropriato dall’ideologia egemonica come un’esplosione di libertà sessuale e di creatività antigerarchica, Nicolas Sarkozy ha potuto affermare nella sua campagna elettorale del 2007 che il suo grande obiettivo è far sì che la Francia superi infine il ’68. Così c’è un loro ’68 e un nostro ’68 – nella memoria ideologica di oggi, la nostra idea basilare delle manifestazioni di Maggio, il legame tra la protesta degli studenti e gli scioperi degli operai, è dimenticata. E, infine, la questione maggiore: se, come sostiene Alain Badiou, il Maggio ’68 è stato la fine di un’epoca, segnalando (insieme alla Rivoluzione Culturale Cinese) l’esaurimento definitivo della grandiosa serie politico-rivoluzionaria che è iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre, dove siamo oggi? Noi che ancora contiamo su un’alternativa radicale al capitalismo democratico-parlamentare, siamo costretti a ritirarci e ad agire da differenti siti di resistenza o possiamo ancora immaginare un intervento politico più radicale?